di Adriano Giannola
su Il Sole 24 Ore
Ancora oggi la geotermia non è percepita come un’opportunità per alimentare la rinascita, anzi viene esorcizzata e resta inutilizzata. Un vero mistero italiano. Eppure siamo stati il primo Paese al mondo a utilizzarla: è un’energia sostenibile, stabile come l’idroelettrica, alternativa ai combustibili fossili e alle fonti rinnovabili intermittenti. L’Italia ne è ricca e un tempo la considerava fondamentale per raggiungere l’obiettivo del carbon free.
Nel resto del mondo, invece, la geotermia cresce rapidamente per rispondere all’aumento esponenziale della domanda energetica, legata anche a fenomeni come i data center e l’intelligenza artificiale. In Finlandia, ad esempio, è stato scoperto un giacimento geotermico capace di soddisfare il fabbisogno energetico per milioni di anni, rendendo il Paese un leader globale nelle rinnovabili. La tedesca Vulcan Energy, grazie alla geotermia, riesce a produrre litio puro – essenziale per batterie sostenibili – e apre la strada alla produzione di idrogeno verde.
In Italia, invece, la ricca disponibilità geotermica non contribuisce a ridurre la dipendenza energetica nazionale. E non si tratta solo della mancanza di impianti ad alta o media entalpia: è quasi assente anche lo scambio di calore geotermico, una tecnologia efficace che, pur non producendo energia, consente enormi risparmi grazie a sistemi di riscaldamento e raffreddamento basati su sonde geotermiche.
L’Unione Geotermica Italiana propone di aumentare la capacità geotermoelettrica installata, oggi ferma a soli 770 megawatt. Bisognerebbe favorire l’uso dell’energia geotermica, soprattutto in aree ad alto potenziale come Campania, Lazio, Sicilia e il Tirreno meridionale, sfruttando il sottosuolo come una gigantesca batteria di accumulo energetico. Tuttavia, nei piani energetici nazionali la geotermia è marginale e non viene considerata un pilastro della decarbonizzazione.
E pensare che, già nel 2011, alla vigilia del referendum sul nucleare, figure di spicco come Felice Ippolito e Carlo Rubbia raccomandavano un maggiore impiego della geotermia. Oggi, mentre il ministro della Sicurezza energetica riconosce a parole il potenziale geotermico per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione (fino al 10% della produzione elettrica), di fatto lavora a una legge per il ritorno al nucleare, previsto per i decenni futuri.
Eppure la geotermia offrirebbe all’Italia una risposta concreta agli extracosti dell’energia. Attualmente, le bollette italiane sono mediamente il 23% più care rispetto alla media dell’Unione Europea, a parità di consumi. Solo in Campania ci sono circa un centinaio di pozzi geotermici e 56 sorgenti (69 pozzi e 32 sorgenti solo nell’area metropolitana di Napoli), una dotazione che basterebbe per immaginare un futuro fondato sulle energie rinnovabili.
La risorsa geotermica è disponibile già a circa 200 metri di profondità e potrebbe permettere una rapida sostituzione delle caldaie tradizionali con pompe di calore geotermiche, per riscaldare e raffreddare edifici pubblici, privati e produttivi in tutta Napoli e provincia. In soli quattro anni si potrebbero convertire migliaia di unità immobiliari, con benefici ambientali, economici, occupazionali e finanziari.
Nel 2013, la Svimez raccontava come fosse realizzabile il sogno di una Napoli geotermica: il centro storico, con le sue gallerie, cunicoli e cisterne in tufo, è un ambiente ideale per lo scambio termico. Si potrebbe partire da un progetto pilota per creare Comunità Energetiche basate non solo sull’energia solare, ma anche sul calore costante della terra.
Due le modalità di intervento: offrire energia elettrica non fossile oppure ridurne il consumo grazie alla geotermia. Mentre Napoli resta in attesa, a Ferrara – in Emilia – si sfrutta la geotermia da anni, arrivando a cercare calore a oltre 4.000 metri di profondità. Lo stesso calore, forse anche maggiore, è disponibile a meno di 200 metri sotto l’area metropolitana partenopea.